domenica 3 febbraio 2013

Emanazione dello Stato o frutto della libertà?

L’
altro giorno, discutendo con un amico riguardo le arti in Italia, è sorto uno spunto di riflessione particolarmente interessante: il finanziamento pubblico ed il suo rapporto non solo con le arti, ma in generale con la cultura, i bisogni, le idee dei cittadini.
E’ comune l’idea che il finanziamento pubblico sia essenziale per far sopravvivere determinate categorie di attività umane. Senza finanziamento pubblico, l’ippica andrà in rovina; senza finanziamento pubblico, la FIAT fallirà; senza i soldi della collettività gestiti dallo Stato, l’arte moderna è destinata a non avere sbocchi significativi. 

Ed allora si avvia quel processo di pubblicità in cui tutti cercano di convincere lo Stato – piangendo, ricattando, minacciando, promettendo – che la sua attività è meglio dell’altra, che l’arte moderna è meglio dell’ippica, che, insomma, i soldi di tutti debbano andare a finanziare una certa attività e non un’altra. E’ quello che accade ogni giorno, senza troppa vergogna.  

Questa idea che il finanziamento pubblico sia essenziale alla sopravvivenza di alcune categorie di attività umane è tanto radicata in Italia, nella società, che i cittadini si sono convinti che nulla possa esistere se non è lo Stato a permetterlo; che tutto, in altre parole, esista soltanto come emanazione dello Stato e soltanto se è lo Stato a pagare. Così, se ci si azzarda a dire che lo Stato non dovrebbe finanziare qualcosa, immediatamente si viene additati come dei detrattori. Se si dichiara che lo Stato non dovrebbe finanziare gli affari religiosi, si viene additati come atei; se si dichiara che lo Stato non dovrebbe finanziare l’arte, si viene definiti barbari; se si dichiara che lo Stato non dovrebbe spendere per finanziare l’ippica, si è automaticamente contro tutti gli operai del settore. 

Quello che bisognerebbe capire è che se un settore è a rischio, significa che la società non ne ha più bisogno o che la sua espansione è eccessiva rispetto alla reale necessità della domanda. Se il settore dell’ippica sta fallendo (non me ne vogliano gli amanti dei cavalli da corsa) significa che sempre meno persone sono disposte ad andare all’ippodromo a vedere degli uomini che frustano dei cavalli in piste fangose. Finanziare questo settore per “rilanciarlo” è un’idea che non sta né in cielo né in terra. Se non c’è domanda, è folle aumentare gli investimenti. Se la gente amasse vedere le corse di cavalli, andrebbe a vederle anche in ippodromi fatiscenti, così come molti padri di famiglia si appassionano a vedere le partite delle scuole calcio in campetti spesso malridotti. L’intervento dello Stato con i suoi finanziamenti, quindi, non rilancia un bel niente ma mantiene in vita uno zombie che non produce abbastanza da sostentarsi da  solo e che forse dovrebbe pensare di perdere qualche pezzo per mantenersi in vita da solo. O morire del tutto. 

Non è cattiveria, non è egoismo, è semplicemente economia. Perché non ci sono più fabbriche di scudi? Perché nessuno va più in guerra con uno scudo. Se questa mentalità distorta del finanziamento pubblico fosse sempre esistita, oggi avremmo ancora fabbriche di scudi che non troverebbero sbocchi sul mercato, ma continuerebbero a dire che lo scudo è emblema di libertà perché fece vincere i Greci a Maratona. 

Quindi, chi si dichiara contrario al finanziamento di arte, religione, lavoro, cultura, istruzione, non sta dicendo di essere un barbaro ignorante e scansafatiche, ma sta sostenendo che tali attività umane si svilupperebbero più armoniosamente come frutto della libertà, piuttosto che come imposizione dall’alto di uno Stato che decide cosa deve sopravvivere e cosa no. Si dichiara, insomma, che la società è libera di essere ignorante, se è così che gli conviene. 

Immaginiamo, per assurdo e senza scadere nel razzismo (si spera), che in un villaggio sperduto dell’Africa centrale, andassimo ad insegnare ingegneria elettronica ad un ristretto gruppo di indigeni. Questi la capiscono, si entusiasmano, si laureano. Poi? Come applicheranno le loro conoscenze tra genti che fanno della caccia e dei rituali le loro principali attività? Cosa gioverà loro sapere cos’è una differenziale quando tutto ciò che il mercato locale chiede sono lance di legno e cibo? Questi pochi “eletti” non saranno mai davvero utili nella loro società, perché la loro conoscenza, per quanto elevata, non porterà alcun giovamento morale o pratico alla società finché questa non si sarà evoluta abbastanza. 

I sostenitori dei finanziamenti pubblici mi diranno che mantenere in vita un settore permette di sostenere la classe operaia. Certo, se guardiamo all’economia con gli occhi di un barbaro e la memoria di un pesce rosso, nulla da eccepire. Ma l’economia va oltre. I soldi che lo Stato stanzia per determinati settori non sono creati dal nulla, ma sono estorti alla popolazione con lo strumento della tassa e sono convogliati là dove ci sono gli investitori (ci vuole coraggio a chiamarli così, a volte…) che hanno pianto di più nei corridoi del Parlamento. Viene da sé che quel denaro avrebbe comunque finanziato qualcos’altro se non fosse stato spostato, avrebbe comunque sostentato altri operai, altri dirigenti, altra gente in generale. In parole povere, la spesa pubblica toglie un euro ad un operaio privato e lo da ad un operaio pubblico. Non ha prodotto alcuna ricchezza, l’ha solo arbitrariamente spostata, deviandone il corso naturale. Là dove nessuno avrebbe speso un solo euro, arriva lo Stato e li spende, creando di fatto una domanda fittizia, destinata a durare finché lo Stato avrà abbastanza denaro da permettere a tali settori improduttivi di fingere di funzionare bene. Quando lo Stato verrà meno, tutto il settore crollerà, e lo farà peggio di prima perché intanto avrà assunto altri operai. 

Bisogna dunque riporre fiducia nel genere umano, non nel legislatore, che deve essere bravo soltanto nel recepire i bisogno ed i desideri della società e permettere di svilupparli senza vincoli, senza barriere. Il finanziamento pubblico come strumento per lo sviluppo non ha ragione d’esistere in un libero mercato, perché finché c’è domanda, l’offerta farà di tutto per raggiungerla. È il caso della droga: la domanda è talmente alta che per trasportare un sacchetto di cocaina si mettono a rischio le vite di migliaia di persone. Eppure ne vale la pena, perché è un mercato redditizio. Lo stesso accadrebbe per ogni altro settore, se lo Stato non giungesse a giudicare cosa è buono e cosa è male, cosa va tassato di più e cosa di meno, manipolando i bisogni ed i desideri della società. Giocando con la libertà.


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