sabato 2 febbraio 2013

Sono uno schiavo semplice, con la libertà nella testa

Io ho un sacco di lavoro, strano ma vero di questi tempi, ma nessuna voglia di farlo, mi fa schifo proprio l’idea. Un po’ perché dopo anni è la solita solfa, la massima parte del disgusto però è dovuta al fatto che il fisco si porterà via fra il 60 e il 70 percento di quello che avrò faticosamente prodotto. Per quanto ritenga quanto segue assolutamente  lecito, io non vorrei trattenere i miei guadagni per comprarmi un Suv, o qualche altro prodotto status, che non mi interessa, no, vorrei solo essere padrone di me stesso e, visto il mio stile di vita parco e sobrio e vista la mia notevole produttività, poter lavorare la mattina e dedicare il pomeriggio a un milione di altre attività più interessanti: riparare strumenti, studiare, andare a spasso con mia moglie, vedere un po’ di questo mondo che non conosco.

Invece no, anche oggi dovrò stare rinchiuso fino a tardi e fare la mia vita da schiavo e ringraziare Dio perché ho il lavoro.

Ho fatto un progresso importante però, non sono più, come qualche tempo fa, doppiamente schiavo ma, dopo aver approfondito ostinatamente svariati argomenti su cui ero carente, mi sono finalmente promosso “schiavo semplice”. Sono schiavo nell’attività lavorativa da quando ho accettato senza obiezioni di essere “in regola”, ma non schiavo nella testa. Subisco la schiavitù ma non acconsento e non partecipo, è un palliativo? Per me è lo stesso un gran progresso.

Qualche anno fa, di fronte all’eterna crisi, che però sta peggiorando sempre più, essendo doppiamente schiavo avrei per esempio accettato la proposta che tuttora viene indicata come soluzione di tutti i problemi. “Facciamo in modo di recuperare i 120 miliardi che vengono sottratti al bilancio dello stato con l’evasione fiscale”. Questo pensiero, applicato pari pari agli schiavi veri, quelli dei campi di cotone, si può esprimere così: “Siccome il padrone mi sta bastonando perché questa notte alcuni schiavi sono fuggiti e mi sta dicendo che noi rimasti dovremo fare anche la loro parte di lavoro, io odio i fuggitivi, spero che li prendano e che li frustino”. Ecco, questo, anche allora era il pensiero del doppio schiavo. Lo schiavo semplice invece avrebbe cercato di schivare le randellate e nel contempo indirizzato il suo odio sul bersaglio giusto, il padrone che lo stava picchiando e la sera, di nascosto, avrebbe festeggiato la fuga dei suoi ex compagni.  Applicando il pensiero libero, lo schiavo semplice avrebbe anche risolto un forte dubbio che all’epoca attanagliava lui e il padrone: “Si parla di liberare gli schiavi, ma, chi raccoglierà il cotone? Questo il padrone, “Si parla di liberare gli schiavi, ma, dove andranno in massa? Chi darà loro da mangiare se non avranno un padrone?”  Questo il dubbio dello schiavo a cui però seguirà la semplice risposta:”vivranno liberi senza un padrone”.

C’è poi un altro argomento che la mia “testa libera” mi suggerisce per confutare la presunta (non si farà mai sul serio) “lotta all’evasione”. Come ha dichiarato il professor Monti “siamo in guerra”. Allora provo per un momento ad andare al “tempo di guerra”, quella vera, e a chiedermi, da che parte sarei stato? Con quale dei  belligeranti? La “testa libera” mi suggerisce una risposta, no, niente belligeranti, io sarei stato con il contadino evasore.

In tempo di guerra il contadino evasore nasconde qualsiasi cosa, imbosca nel bosco, infratta nella fratta, interra sotto terra derrate, granaglie, caciotte, prosciutti, salami, canapa, lana, fa sparire tutto. Viene il daziere, “Tira fuori i salami!” e il contadino allarga le braccia sconsolato, “è la guerra, sono venuti  i tedeschi, i partigiani, si sono portati via tutto” … Vengono i tedeschi “Tira fuori i salami!” e il contadino allarga le braccia sconsolato, “è la guerra, sono venuti i dazieri, i partigiani, tutto si sono presi” … Vengono i partigiani “Tira fuori i salami” e il contadino allarga le braccia sconsolato, “è la guerra, ci sono i dazieri, i tedeschi …

Finito il via vai il contadino evasore prende un po’ di roba e, con sprezzo del pericolo, va a venderla giustamente a caro  prezzo in città. E’ il mercato nero, è il lavoro nero, con cui il contadino guadagna bene e contemporaneamente salva la vita di intere città destinate alla morte per fame (quella vera) dalla “pianificazione di stato” durante la guerra e nel dopoguerra.

Oggi siamo in guerra? Bene, io sto con il contadino, artigiano, commerciante che fa sparire la sua ricchezza, ma non sotto forma di cartaccia, no, lingotti e monete, e la sottrae allo spreco. Spero che ne faccia sparire e ne salvi tanta, di ricchezza, che la porti in Svizzera o chissà dove e, quando finalmente questo regime canaglia sarà crollato su se stesso, perché è destinato a crollare, la riporti qui  e ci costruisca una fabbrica… di salami.


di Alberto Veneziano, su Movimento Libertario

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