domenica 7 luglio 2013

Enti substatali: di province e regioni

L'esistenza di vari strati di enti amministrativi non trova alcuna giustificazione pratica. Già nel 1860, in piena rivoluzione industriale, l'avvento delle automobili aveva reso obsoleti gli enti intermedi così come erano stati concepiti fino ad allora. La divisione del territorio in regioni e province (o provincie, se volete usare le regole  grammaticali del pre '49) rispondeva alla sola esigenza di raccolta dati e a scopi puramente geografici o statistici; tutte funzioni, queste, che nulla hanno a che vedere con l'amministrazione. 

Le une o le altre non avrebbero fatto alcuna differenza, ma la coesistenza di più livelli di amministrazione è un dilemma del quale non so spiegarmi le ragioni, se non cercandole nella mera esigenza dello Stato (e quindi dei partiti) di dare posti di lavoro a quanti più elettori possibili, nonché alla ghiotta opportunità di confondere le voci di spesa tra più enti. 

Nel 1800 la società geografica italiana elaborò una mappa della penisola divisa in regioni individuate secondo criteri ambientali. Quando lo Stato Italiano di nuova formazione scelse di adottare la divisione amministrativa su base regionale, non sapendo come dividere il territorio, adottò la divisione già effettuata dai geografi. Tuttavia tale divisione non tiene conto delle realtà locali e culturali e ha finito per accorpare popolazioni differenti o spezzare delle vere e proprie regioni culturali e storiche, come quella del Sannio che dovrebbe sorgere tra il nord della Campania ed il basso Molise. 

Le province, invece, dovevano avere un'estensione tale da essere percorse in un giorno di cavallo. 
La divisione in regioni o province è una scelta politica e con molti fattori soggettivi. A fare la differenza sono due cose: il criterio e gli equilibri interni ed esterni tra enti.

Il criterio
La funzione di un ente amministrativo è quella di associare le realtà comunali sul suo territorio, che sono il centro della vita dei cittadini. 
Se un cittadino può facilmente riconoscere i problemi della sua città ed avere della stessa una visione ampia e generale, non può certamente vedere la situazione più dall'alto, osservando i rapporti tra più città. L'ente amministrativo si occupa proprio di gestire i rapporti tra le città, valutando laddove occorra effettuare interventi di vario tipo che richiedono la cooperazione di più città e che riguardino, ovviamente, tutte le città coinvolte. 
Il grado di partecipazione dei cittadini nelle decisioni dell'ente è un'altra questione. 
Per assolvere al meglio alla sua funzione, l'ente deve accorpare città appartenenti alla stessa realtà socio-economica, ed è dunque questo il criterio da adottare per tracciarne i confini. 
Ad esempio, città che hanno formato tra di esse una grande realtà industriale, come avviene in molte zone del nord, hanno esigenze molto simili e hanno bisogno di gestire in modo oculato i loro rapporti, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture. Un ente che le accorpasse saprebbe come agire al meglio per tutelare l'interesse di ognuna di esse, partendo dal presupposto che le città - nelle persone dei sindaci o dei consigli comunali - abbiano la possibilità di partecipare ai processi decisionali dell'ente. 

Gli equilibri
Se alcuni enti risultano troppo piccoli, non è forse necessario creare un ente più grande per raggrupparli? 
Un ente è una persona giuridica, in quanto tale ha la libertà di associazione. Nulla vieterebbe, dunque, agli enti che possano avere particolari interessi comuni, di associarsi e di gestire l'amministrazione in modo combinato senza pesare sulle spese dello Stato attraverso la formazione di ulteriori organi amministrativi o di direzione politica. 
Finché gli enti avrebbero tale libertà di associarsi, non serve istituire enti più grandi per dirigerli. 
Quando due o più privati hanno un interesse comune, si coalizzano e lo perseguono; analogamente agirebbero gli enti, sotto l'impulso delle città. Soltanto così è possibile essere certi che i soldi pubblici vengano spesi per gli interessi della collettività e su indicazione della collettività. 
Contrariamente, in enti istituiti dall'alto e con politiche non legate a quelle comunali, avviene ciò che si registra nella maggioranza delle regioni italiane: uno sperpero di denaro in opere pubbliche che non rispondono alle vere esigenze dei cittadini, ma soltanto a disegni astratti e ad interessi criminali dei politici. 
Le stesse libertà date agli enti, valgono anche per le città stesse: nulla vieterebbe loro di associarsi in piccoli gruppi (anche appartenenti a enti contigui) per gestire in modo microscopico la loro realtà. 

Problema di nomenclatura
Chiamare tali enti regioni o province non farebbe alcuna differenza nella pratica. Ritengo che "province" sia più appropriato, presupponendo che un ente funzionale debba avere una limitata estensione, e che quindi meglio risponderebbe alla definizione di "percorribile in un giorno di cavallo". 
Tradurre nella modernità questa definizione sarebbe deleterio, dal momento che in una giornata si può percorrere metà penisola in auto. 

Presupposti
Perché possano esistere enti come sopra descritti, sono necessari alcuni presupposti. 
Innanzitutto una riscossione dei tributi su base provinciale o comunale, che mantenga sul territorio le tasse. Attualmente lo Stato centrale si occupa di redistribuire i fondi ed accade che regioni come la Sicilia, a statuto speciale, si vedano tornare indietro più di quanto abbiano riscosso sul territorio. Una simile gestione deresponsabilizza completamente l'ente nei confronti del cittadino, poiché la mancanza di fondi sarà sempre imputabile allo Stato centrale e mai al più vicino ente, col quale è possibile dialogare (o protestare) recandosi in poche ore presso la sede. Inoltre i costi di riscossione e redistribuzione assorbono parte del denaro stesso, che finisce a pagare l'apparato burocratico che se ne occupa. E' un sistema fallimentare da principio, pensato per uno Stato accentratore e che ha bisogno di dare posti pubblici. 
Secondo presupposto è l'attribuzione delle competenze legislative. Se è vero che lo Stato centrale non sempre può conoscere le specifiche esigenze delle realtà locali, è anche vero che l'esistenza di centinaia di enti potrebbe dar vita a una produzione legislativa molto - troppo - variegata e causare problemi soprattutto a quelle aziende medio-piccole che operano a cavallo di due o più enti. Il discorso è molto più ampio, ma non mi sembra questo lo spazio adatto ad avviarlo. Mi limito a dire che gli enti dovrebbero avere potere su materie strettamente amministrative ed operare dunque tramite provvedimenti.

4 commenti:

  1. Oh, interessante. E grazie per la fiducia.

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  2. Le Province diverranno “Collegi delle Autonomie”
    Ma cancellando soltanto la struttura fisica della provincia o riservandoci ben altro?

    Per quanto riguarda l’eliminazione delle province, il Presidente del Consiglio on.le Letta ha testualmente dichiarato: “Il Governo intende “salvaguardare i lavoratori” delle province e le “funzioni” di questi enti abrogati con il ddl costituzionale”.
    Quindi, se con la prossima Legge, verranno individuate tutte le forme e tutte le modalità di esercizio delle varie funzioni, sia da parte dello Stato che da parte delle Regioni, nulla o quasi dovrebbe cambiare. Si verrebbero soltanto ad eliminare le strutture fisiche delle province e gli organici dei politici. Quasi, una “vittoria di Pirro”.
    Divenendo, così, le province tanti “Collegi delle Autonomie”. Ed, a noi cittadini, pur consapevoli che il Governo non abbia rispettato la radice storica ed il legame affettivo alle province – il leghista Zaia aveva affermato “La provincia è una questione identitaria da dover rispettare" – interessa di poter godere dei servizi sinora goduti.
    Lato dolente della questione si avrebbe se venissero soppresse alcune strutture, dato che, in tal caso, anziché delle economie si otterrebbero delle diseconomie e degli enormi disagi. Infatti:
    - come si fa a sopprimere le Prefetture, le uniche Istituzioni, vicine ai cittadini, dato che rappresentano presidi di democrazia? Ve ne sarà soltanto una ogni Regione? Ed, in tal caso, quante e quali spese dovranno sobbarcarsi i Comuni, i Sindacati, i cittadini per potersi recare in questa struttura pubblica?
    - come si fa ad eliminare le Questure, i Comandi dei Carabinieri e della Finanza, presidi necessari per non fare prosperare ancora di più la mafia e la criminalità?
    - quanto costerà pagare le trasferte dei rappresentanti delle Forze dell'Ordine quando dovranno recarsi, per esigenze varie ed improvvise, nei centri "abbandonati" ed i Sindaci ed i tecnici nei centri "ritrovati"?
    - e come dovranno fare milioni di persone che, chiudendo, i vari uffici esistenti (Direzione del Tesoro, Ragioneria dello Stato, Agenzia Entrate, Agenzia Dogane, Agenzia del Territorio, Direzione del Lavoro, Camera di Commercio, Sedi Inps ed Inail, Asp, Aci, Croce Rossa, Ufficio Scolastico, Poste, Motorizzazione Civile, Ordini Professionali etc.etc) dovranno recarsi in una nuova sede per il disbrigo delle varie pratiche?
    Quanta benzina verrà sprecata? Quanto inquinamento si produrrà? Chi pagherà qualche vittima della strada per un simile incessante andirivieni?
    Possibile che gli studiosi in economia del Ministero non siano ancora riusciti a focalizzare quante e quali diseconomie si verrebbero a determinare a carico dello Stato, dei Comuni e della collettività?
    Per le suddette constatazioni, non sarebbe né giusto e né onesto sopprimere dette indispensabili “funzioni”. Il problema – secondo alcuni economisti – sta nel razionalizzare. Ad esempio: annullando o facendo divenire produttive le 3.127 aziende partecipate delle Province il cui costo è di sette miliardi di euro.
    Ma le diseconomie abbondano un po’ ovunque, anche a livello regionale e nazionale. Quindi, bisognerebbe rivolgere lo sguardo, anche e forse, soprattutto altrove.

    Rodolfo Bava

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  3. E' proprio per questi motivi di distanze fisiche e attaccamento al territorio che io caldeggio la provincia come unica divisione amministrativa possibile. L'articolo è pura teoria, steso in due giorni di speculazione e riflessione su un migliore assetto statale.
    Il tuo discorso sui costi e sulle strutture è giusto, comunque. Difatti le provincie verranno abolite solo nella loro parte politica (circa 2mld di euro) mentre tutte le loro funzioni verranno delegate alla Regione. Strutture e personale, quindi, restano lì dove sono, con la differenza che sarà la Regione a mantenerli.
    Questo porterà al classico problema che qui in Campania chiamiamo "Napolicentrismo della Regione": per diminuire i costi, stanno spostando tutte le strutture a Napoli e gran parte dei fondi finiscono lì, mentre il resto della Regione campa come può con i resti.

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