venerdì 25 aprile 2014

Di che partito siete, fratelli?

Quando discuto di politica con qualcuno, attaccando ogni movimento e partito del mondo, ottengo sempre l'effetto di disorientare il mio interlocutore. "Ma allora tu di che partito sei?", mi domanda, lasciando cadere del tutto l'argomento originario della discussione. Probabilmente si discuteva delle troppe tasse, o di una libertà violata, o di una riforma: non importa più. L'interlocutore, non sapendo chi ha davanti, non riuscendo a schedare l'avversario, finisce per porsi l'unico problema dell'identificazione. 
E' un atteggiamento ho riscontrato spesso anche in persone che mi aspettavo preparate o quantomeno consapevoli di ciò che stavano dicendo. 

Il punto è che in Italia, vista la situazione di monopolio ideologico che si è venuta a formare tra i falsi partiti in falsa concorrenza, non si sa più discutere di affari di Stato, né di diritto, né di libertà. 
Tutta la discussione politica, ruotando intorno ad argomenti su cui i partiti sono pressoché d'accordo, non può essere svolta ragionando sull'azione umana e su quali debbano essere i princìpi da tutelare con legge; va svolta, invece, ragionando innanzitutto su cosa dice il partito di riferimento di una data ideologia o corrente di pensiero, e su cosa dicano le opposizioni.
Forza Italia 2.0 e precedenti si sono sempre auto-definiti "liberali", pur non avendo la sostanza di partiti liberali; partendo da tale assunto, il cittadino "di destra" considererà illiberale qualsiasi proposta avanzata da qualunque altro partito, mentre prenderà per liberalismo tutto ciò che uscirà dalla bocca ufficiale di Forza Italia 2.0 (o precedenti, s'intende). 
Il rapporto "pensiero - partito" ne risulta pertanto invertito: mentre in un normale scontro politico si partirebbe dal pensiero e si finirebbe per sentirsi appartenenti all'uno o l'altro partito, nello scontro politico all'italiana accade l'esatto opposto; accade, cioè, che il cittadino si avvicina ad un partito per motivi avulsi dalla corrente di pensiero, e ne adotta gli slogan, credendoli in linea con la corrente di pensiero che il partito pretende di rappresentare.
La verità figlia dell'autorità, non del ragionamento. Tutto inizia nel partito e finisce nel partito.

Con una tale impostazione di pensiero, spesso incoerente perché i partiti modificano il loro pensiero in base alle situazioni, il cittadino italiano non è capace di discutere di politica con chi si è formato sulla base di una ben definita corrente di pensiero. Non sa discutere con chi ha studiato davvero, insomma. Non ha una linea di ragionamento e di coerenza unica, ma ne ha diverse, spezzettate, che seguono logiche di partito che non hanno nulla a che vedere con la realtà.
Pertanto, quando un liberista sfrenato attacca ogni partito sullo scenario, il cittadino non sa come gestirlo: quello sporco liberista ha detto cosa che ha detto anche Berlusconi, una volta, ma ora lo attacca. Perché? Cosa c'è dietro? Il cittadino è in panico, perché dire al liberista "hai ragione" significa ammettere che Berlusconi ha fatto una piccola incoerenza tra pensiero ed azione; ha detto, cioè, cose liberiste o pseudo tali, ma non ne ha fatta neanche mezza che corrispondesse a quanto ha detto. Ma dar ragione a quel saccente liberista significa far crollare tutto il castello di ideucce che il cittadino ignorante ha in testa da decenni. 

Il cittadino vuole un dibattito diverso, su un piano meno coerente, meno riflessivo, più pettegolezzo. Il cittadino vuole discutere delle cose fatte dal partito dell'opposizione e dire che sono sbagliate, mentre il suo partito, eh, quello sì che aveva idee giuste, ma non ha avuto tempo/numeri/potereillimitato per farle. E tutto finisce qui.
Il cittadino non si chiede se sia giusta o meno una certa riduzione di libertà: se il partito la sta proponendo, e l'opposizione non la vuole, il cittadino la sosterrà pur di dare contro all'odiato nemico. 
Quando il cittadino incontra il cittadino che ha studiato, si ritrova spaesato e vuole catalogarlo. Quando fallisce, perde interesse nella discussione e si disimpegna. Quelle riflessioni non sono più cosa sua, ma del partito; lui deve parlare, il partito deve pensare. 


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